Nonostante un calo del 3,6% del PIL, anche nel corso del 2016 il mercato del vino importato in Brasile ha dato segnali positivi con una crescita del 13% in volume e le previsioni a 5 anni sono ancora più promettenti. A farla da padrone il Cile con una quota che si avvicina al 50%. L'Italia continua a non saper cogliere le opportunità di questo grande mercato delegando il business agli importatori locali.
L'assenza di una supply chain globale disegnata in funzione del prodotto, del paese e dei diversi stati brasiliani, ognuno con caratteristiche peculiari, non permette al vino italiano di essere competitivo nei confronti dei concorrenti sudamericani, Cile e Argentina, avvantaggiati dall'assenza dei dazi di importazione, dalla vicinanza e da un'offerta quantitativa e qualitativa importante.
Attraverso il controllo diretto di tutta la supply chain "end to end", che oggi viene delegata in toto agli importatori locali, i produttori italiani di vino potrebbero ambire ad una posizione di leadership nel mercato brasiliano sia attraverso la grande varietà dei vini a disposizione che il giusto prezzo di vendita al cliente finale. Oggi infatti a causa dei costi di spedizione, dei dazi e dei ricarichi commerciali lo stesso identico vino che si trova nei supermercati "Esselunga" a Milano a €5,- lo possiamo trovare a San Paolo nei spermercati "Pão de Açucar" a €25.
Per ottenere la presentazione tenuta al Convegno Italia Brasile Business tenuto a Napoli il 3 marzo e dedicato al Food & Beverage, dove sottolineo le ragioni della scarsa incisività italiana e come occupare una posizione di rilievo nei prossimi anni, potete collegarvi al sito: www.3dconsulenze.it lasciare il vostro indirizzo email nella sezione "contatti" e vi verrà inviata gratuitamente.